La diversificazione del portafoglio è una tecnica necessaria per minimizzare i rischi connessi al trading e all’investimento finanziario in generale. Diversificare il portafoglio è una buona prassi per la gestione del rischio, ma anche per l’ottimizzazione dell’investimento.
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In questo articolo spieghiamo cos’è la diversificazione del portafoglio, quali sono i suoi elementi più importanti e faremo anche un esempio di diversificazione. Per approfondire puoi leggere anche i seguenti articoli:
La diversificazione del portafoglio consiste nell’investimento su diverse tipologie di asset finanziari, con l’obiettivo di ridurre la rischiosità del suo rendimento. Per capirci, diversificare significa evitare di investire solo in un titolo azionario o nel bitcoin, bensì investire su più titoli azionari di più settori ma anche in categorie di asset differenti (valute, materie prime, indici di borsa, ETF ecc.).
Per diversificare il portafoglio si possono adottare varie strategie, che per la maggior parte consistono nel bilanciare gli investimenti in termini di settore di mercato, scadenze, rischiosità, rendimento e altre tipologie.
Per dirla in modo semplice, con la diversificazione si evita di mettere “tutte le uova in un paniere”, dato che i mercati sono imprevedibili, il paniere potrebbe cadere e le uova rompersi. Con questa operazione, quindi, si vuole rendere il proprio portafoglio più sicuro. Questo discorso ovviamente vale anche per il trading con CFD.
La teoria della diversificazione del portafoglio professionale, si basa su complesse teorie matematiche che comprendono i concetti di correlazione, varianza, rendimento atteso e valore atteso.
Ad ogni modo, qui di seguito cerchiamo di semplificare al massimo il concetto al fine di farlo comprendere anche a chi ha meno esperienza.
La teoria della diversificazione del portafoglio praticamente dice che avendo a disposizione determinati valori dei rispettivi titoli, si può fare in modo che nel complesso il rendimento non si allontani troppo da quanto previsto.
A tal proposito, specifichiamo sempre in modo semplice il significato di tali valori:
A proposito della correlazione, va detto che con la diversificazione del portafoglio si cerca di creare dei panieri con titoli tra loro poco o per niente correlati, ovvero che non possano influenzarsi a vicenda. Questo sempre perché se un titolo scende di valore, non deve trascinare con sé anche un altro asset, se non già previsto nel piano. Per tale motivo, si deve fare in modo che ogni “scompenso” arrechi meno danni possibili al portafoglio nel suo complesso.
In pratica, per ogni titolo si raccolgono i dati storici e si fanno degli studi statistici che si concentrano sui valori attesi e sulla distanza tra questi e i dati effettivi. A ciò si aggiunge uno studio di correlazioni tra più variabili e quindi tra più dati. Il tutto, consente di ottenere maggiori informazioni sui rendimenti attesi.
La teoria qui esposta serve quindi per diversificare il rischio del portafoglio, poiché si cerca di bilanciare il complesso insieme di variabili per le quali è previsto un rischio maggiore, con le variabili per il quale è previsto un rischio minore.
Il rischio, ricordalo sempre bene, c’è sempre. Potrà essere basso, medio, alto, elevato, ma mai pari a zero.
Proprio il concetto di rischio è basilare, poiché più operazioni ad alto rischio si hanno nel proprio portafoglio, più è difficile controbilanciarlo e quindi più operazioni a rischio molto basso (con tutte le molle da prendere in una tale affermazione) si dovranno aggiungere al portafoglio.
Le strategie hanno come ovvio obiettivo quello di aumentare i benefici della diversificazione del portafoglio, con un piano ben preciso. Le strategie possono essere di vario tipo e di vari gradi di rischio e difficoltà. E’ difficile categorizzare le strategie in “facili e poco rischiose”, oppure in “difficili e a rischio minimo”, o ancora in “facili ma di medio rischio ecc.”.
L’importante, è che una diversificazione abbia un senso e che sia fatta a misura dell’investitore.
La strategia da adottare deve basarsi necessariamente sugli obiettivi finanziari di chi la attua, poiché un conto è avere degli obiettivi basici, un conto è avere degli obiettivi di profitto spinti. Ancora, un altro conto è avere degli obiettivi a lungo termine, un conto a breve termine ecc.
Quindi, qualunque strategia di diversificazione del portafoglio decidi di adottare, assicurati che sia quella adatta al tuo caso, ai tuoi obiettivi, al tuo stile operativo.
Può capitare, ad esempio, di incappare in qualche consulente o qualche sito che ti proponga una strategia che vada a creare forzature, a distorcere il tipo di trading o investimento che vorresti fare. Ad esempio, aumentando di troppo il capitale investito. Ciò non va bene. Ognuno ha i propri obiettivi e le proprie disponibilità economiche. E’ la strategia che deve adattarsi all’investitore e al trader, non il contrario.
Esempi di portafogli diversificati ce ne sono davvero tanti e dipendono sempre dal tipo di strategia che si desidera applicare. Ad ogni modo, vi sono esempi noti, come quello dello studioso statunitense Harry Browne, un analista finanziario scomparso nel 2006, che aveva fondato una teoria molto seguita, consistente nella massima diversificazione.
Il sistema di Browne richiama la logica dei vasi comunicanti, in modo tale che il sistema scorra il più fluentemente possibile senza alcun vaso che sia sottoposto a pesi eccessivi. Trasposto sui mercati finanziari, vuol dire investire contemporaneamente un tutte le asset class al fine di ottenere maggiore garanzia e protezione.
Un esempio di portafoglio, secondo il modello Browne, è quello diviso in quattro parti:
Questa diversificazione è tanto semplice da sembrare banale. In realtà, occorre ovviamente scendere nel dettaglio delle azioni e dei titoli sui quali investire. Occorre quindi scegliere le azioni in base a numerosi fattori (settore, valori beta e alpha che vedremo tra poco, nazionalità ecc.).
Si tratta di un ottimo esempio per la strutturazione di un portafoglio diversificato.
Parliamo ora del ‘portafoglio diversificato beta e alfa’, che potrebbe riuscire a incuriosirti particolarmente.
Partiamo dalle definizioni di Beta e Alfa.
Beta è il comportamento di un titolo (o di un portafoglio) in relazione alla volatilità del suo indice benchmark, ovvero del suo indice di riferimento. Si tratta della variazione del titolo rispetto alla variazione del mercato.
Infatti, va considerato che il mercato ha di base un valore Beta pari a 1,00. Il valore Beta pari a 1 indica che il titolo o il portafoglio si muove di pari passo al mercato. Se il valore cambia, invece, vuol dire che il titolo si discosta dall’andamento del mercato.
Ed è per questo che quando il valore Beta supera quota 1, vuol dire che il titolo va nella stessa direzione del mercato ma con una variazione superiore (in pratica, corre di più).
Se al contrario il valore Beta va sotto quota 1, vuol dire che il titolo si muove con una volatilità più bassa rispetto a quella del mercato.
Attenzione: il valore Beta può essere anche negativo! In tal caso vuol dire che il titolo o il portafoglio con valore Beta negativo si stanno muovendo in senso opposto a quello del mercato. Se un mercato complessivamente sale, il titolo in questione scende.
Nell’ottica di una diversificazione del portafoglio il valore Beta assume grande importanza per capire quanto un titolo sia esposto al cosiddetto rischio sistemico. Un valore beta alto implica che il titolo sia particolarmente influenzato dall’andamento del mercato. Un valore beta basso, al contrario, ne indica il carattere “indipendente”, per quanto possibile, e la sua minore volatilità.
Quando beta è mediamente molto vicino a quota 1, vuol dire che il titolo in questione segue praticamente quello dell’indice, ed è in questo modo che infatti vengono studiati gli ETF.
Dopo aver visto beta, passiamo ad alpha. Si tratta di un valore che mette in mostra l’attitudine di un titolo a cambiare di valore, a prescindere dalle performance di mercato. In pratica, con alpha si riesce a capire quanto un titolo sia in grado di ottenere performance migliori di quelle del proprio mercato di riferimento.
Anche Alpha ha una versione negativa. Un Alpha negativo, infatti, sta ad indicare l’attitudine di un titolo a subire perdite a prescindere dall’andamento del mercato.
Alpha esprime un po’ la capacità di un titolo di “farsi valere” rispetto al proprio indice di riferimento. Un alpha positivo, ad esempio, lo avrebbe un titolo che rende mediamente il 3% contro quello dell’indice di riferimento pari all’1%. Al contrario, un alpha negativo, vedrebbe ad esempio un titolo andare peggio di quanto (non) faccia il mercato.
*Aggiornato a gennaio 2024