La tigre di Wall Street: Julian Robertson

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Articolo dedicato al metodo d'investimento di Julian Robertson, soprannominato la Tigre di Wall Street

Nato a Salisbury (North Carolina) nel 1933, Julian Robertson ottenne la laurea universitaria in amministrazione finanziaria e di lì a poco si trasferì nella città di New York dove a soli 25 anni divenne il responsabile di un’importante società. In seguito per alcuni anni visse in Nuova Zelanda per poi rientrare negli Stati Uniti e lanciare nel maggio 1980 il fondo denominato Tiger.

Dopo 6 anni consecutivi di incrementi vicini al 50%, attirò l’interesse della stampa mondiale in quanto il suo metodo d’investimento, composto da strategie sia rialziste che ribassiste, combinate con un attento studio del rapporto prezzo/rendimento e particolare attenzione ai titoli da lui giudicati sopravvalutati, faceva gola a molti investitori.

Robertson era solito sostenere che era tanto importante individuare le migliori aziende del mondo, quanto individuare le aziende in maggiore difficoltà, per cogliere ottime opportunità di investimento in entrambi i casi. E’ evidente che si applicavano strategie rialziste sulle società migliori e ribassiste sulle società in difficoltà.

La capacità di Julian Robertson di studiare ed assimilare dati in continuazione ed in un periodo di tempo realtivamente breve non è chiaramente una caratteristica comune ai più e quindi gli va dato merito per il suo indubbio, ed in parte innato, talento.

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La straordinaria abilità di Robertson nel mercato azionario è paragonabile a quella di George Soros nei mercati valutari. Sarebbe stato interessante vedere i risultati di una loro collaborazione nella quale Robertson avrebbe potuto investire in titoli azionari il capitale guadagnato da Soros nelle valute. Straordinario!

Sia Soros che Robertson gestiscono “hedge fund” con enormi capitali per conto di clienti “privilegiati”. Questi fondi hanno un costo di gestione che a volte si avvicina al 20% dei guadagni complessivi, ma è evidente che i clienti sono ben contenti di pagare una tale percentuale dietro ad eccezionali risultati, ed il tutto sotto l’attenta osservazione del “management fee” e “incentive fee”.

I gestori di questi fondi possono godere di tutto ciò, solo in caso di guadagni.

Sappiamo che anche i migliori trader ed investitori del mondo devono saper gestire delle perdite e dei momenti meno favorevoli e questo accadde anche al fondo Tiger che subì ingenti perdite durante il crack del 1987. Grazie però ai lauti guadagni – parliamo di otre un miliardo di dollari – degli anni precedenti, il fondo sopravvisse.

L’evoluzione del fondo Tiger

1989-1990: Dopo un periodo in cui era investito nel mercato tedesco, decide di virare con decisione al mercato giapponese e questa mossa gli vale guadagni a sei zeri. Di lì a poco analizzando le tendenze su tassi di interesse dei bond europei attuò un’altra strategia assolutmente vincente.

1990-2000: Il decennio procede in linea con le aspettative.

29 marzo 2000: Robertson annuncia che il fondo Tiger chiuderà e devolverà la totalità degli investimenti ai propri sottoscrittori.

L’annuncio lascia sorpresa la comunità finanziaria ma è lo stesso Robertson a spiegare che, sebbene abbia avuto successo negli anni passati, si rendeva conto che il mercato stava cambiando ed assumeva sempre più caratteri aleatori e rischiosi. Tutto questo era in parte dovuto, secondo lui, alla diffusione della tecnologia e di internet ed a metodi di comunicazione che avrebbero portato la società ad un inevitabile crollo, da cui lui desiderava salvaguare se stesso ed i suoi clienti. A conferma di questa sua realistica valutazione, un altro grande protagonista dei mercati contemporanei ovvero Warren Buffett, affermò che qualunque genere di analisi relativa ad un’azienda internet diventava ormai quasi senza importanza in quanto il prezzo difficilmente rispecchiava il suo reale valore.

Qualche settimana dopo la decisione di Robertson di chiudere Tiger, scoppiò la bolla speculativa così nota .COM (dot-com) dimostrando che l’internet-mania aveva portato un’enorme fragilità sui mercati. Julian Robertson aveva visto giusto.